Interessantissimo articolo oggi (17 giugno 2012) di Serena Danna, sull’inserto La Lettura del Corriere della Sera, dal titolo “Demagogia digitale“.
Ne riporto alcuni pezzi che mi hanno particolarmente colpito e fatto riflettere:
[…]L’idea di una democrazia digitale capace di liberare gli uomini dalle catene del potere è il trend topic degli ultimi anni […] Salvo poi scoprire che in Egitto solo il 10% della popolazione usa Facebook: percentuale che scende al 6% in Siria e al 3,74% in Libia[…]
[…]il web — più che dare potere ai cittadini — lo ha consegnato nelle mani delle tecno-élite: «Giornalisti, accademici impegnati, premi Nobel, giovani attivisti politici locali: loro — “i pochi” — rappresentano la porta di entrata per “i molti”, che non hanno gli incentivi, le risorse culturali o la volontà di informarsi quotidianamente[…]
Certo, è normale che ci siano persone più appassionate di una cosa (e quindi più attive) e altre meno: dallo sport alla politica, dal giardinaggio alla cucina, a Internet.
Ma come è già stato detto da molti più volte, il web allora è teoricamente in grado di dare (o ri-dare) il potere e la voce ai cittadini, ma non è detto che questo poi accada realmente. Anzi, per lo più non è così: emerge una tecno-élite (come la definisce l’articolo), non la società intera.
[…]Vaccari, che ha appena pubblicato il volume Politica online, mette in luce un altro aspetto controverso della e-democracy: l’informazione. Internet è sì una sorgente sterminata a cui tutti possono accedere, ma quanti utenti lo usano davvero per cercare notizie e approfondimenti riguardanti la politica? «Durante la campagna elettorale i cittadini italiani che hanno dichiarato di aver cercato informazioni politiche sono il 16%. Dopo di noi, solo la Spagna. Al primo posto ci sono gli Stati Uniti, con il 45%».[…]
Ecco, il 16%. Non la totalità degli elettori e nemmeno la maggioranza: meno di 1 su 6!
Rimanendo a parlare di politica:
[…]Una ricerca a cura di Sara Bentivegna mostra che in Italia i parlamentari presenti online hanno come obiettivo principale la self promotion: su Facebook il 22,5% dei politici non ha mai postato sulla propria bacheca, il 28,7% non ha ricevuto commenti e — dato più grave — il 60% non ha mai risposto ai commenti. Rispondere, commentare, interagire sono i primi passi per rendere il rapporto con i cittadini davvero democratico. […]
Oggesù, davvero? Cioè nemmeno rispondere ai commenti? A parte una questione di (buona) educazione, dove sta la democrazia digitale?
E poi questa ottima riflessione:
[…]Chiosa Carlo Blengino, avvocato che si occupa di diritti e doveri online: «Un errore che fanno in molti è usare il web come megafono delle proprie idee e confonderlo con la democrazia diretta».[…]
E ancora, dallo stesso articolo:
[…]Chi crede che la democrazia digitale sia la soluzione a tutti i mali della politica trascura un aspetto fondamentale: i veri assenti nel dibattito politico online sono i moderati. Usano poco e male la rete, a differenza dei cittadini con idee più “radicali”, che trovano su Internet uno spazio per incontrarsi e organizzarsi.[…]
Non è forse così? Spesso le discussioni più affollate, i trend topic più seguiti e usati, non sono quelli dove si urla di più, ci sono le posizioni più estremiste (in positivo e in negativo), si litiga?
E quindi, specularmente, per emergere nel rumore della rete, occorre urlare, usare toni forti? …Quanto meno prendersela con qualcuno o qualcosa?
E però… come si fa ad attivare i moderati? Cosa manca? Cosa serve? …Oppure, filosoficamente, per loro stessa natura, i moderati non saranno mai veramente attivi e protagonisti in rete?
Ed infine:
[…]Certo, uno dei più grandi progetti di politica partecipativa di Obama — il portale aperto ai cittadini di petizioni online «We the People» — ha raccolto in 3 anni solo 36 petizioni e la più votata può contare su 101 mila voti. Vaccari lo spiega così: «La maggior parte degli elettori non ha e non vuole avere un’opinione su tutto: se chiediamo agli italiani cosa pensano del ddl sulla corruzione, quasi nessuno saprà risponderci. Seguire le dinamiche di governo non è come esprimersi sui diritti umani. I cittadini non hanno risorse né di tempo né cognitive per occuparsi delle politiche pubbliche, per questo delegano a esperti. Da questo punto di vista, Internet non ha cambiato nulla».[…]
Internet non ha cambiato nulla. Mi ha colpito questa conclusione.
Riportiamo Internet ad essere un mezzo: un mezzo potente, con potenzialità enormi, ma che da solo non cambia la società, la cultura, il pensiero, la democrazia e il suo esercizio.
…Oddio, come sono negativo oggi!?…